Chiaccherificio 2.0

web 2.0 revolutionDirei che una cosa è sicura sul web 2.0 in Italia (a differenza che in altre parti del mondo): stiamo a guardare, vediamo cosa succede, ma soprattutto chiacchieriamo tantissimo. Da noi non è Web 2.0 è Chiacchiera 2.0.
Qualcuno si muove da qualche mese, per non dire qualche anno, nel solco della ricerca e della innovazione e, come nel web degli inizi, tutti lo guardano con strana preoccupazione, mista spesso a sincera ignoranza.

Il web è un media sociale, lo è sempre stato. Internet ha visto la nascita di migliaia di posti dove poter scambiare una parola, un’immagine, un suono. Tutto quello che la tecnologia consentiva e che la capacità dei singoli permetteva, a volte con acrobazie che il solo ricordo provoca il sorriso e il buon umore. Quanti hanno simulato una discreta interattività con Flash o qualche kilo di Frames?
La logica della scambio e della collaborazione è sempre esistita. Leggendo le cose scritte da T.B. Lee dieci anni fa si rimane abbastanza sconvolti, sembra di sentir echeggiare ogni secondo il motto “il web è per tutti” e invece per molti anni della capacità del web di essere veramente partecipativo abbiam sentito solo il profumo. Con la gente che si dibatteva a costruire siti, riempire siti, raccomandare siti, programmare codice che non portava a nulla se non al crash di un browser o di un motore di ricerca. In giro, tanto per capirci, c’è ancora qualcuno che fa conferenze sul VML.
La sensazione è che fenomeni come Napster, EMule, Myspace, Splinder, Blogger, WordPress, Google Maps abbiano effettivamente liberalizzato le masse e movimentato nuovi contenuti (nati nella rete per la rete). In realtà gli insuccessi, come è solito nel mondo del web, sono stati molti di più dei successi. In Italia però il nulla. In Italia si parla, si parla, si parla. E non succede quasi nulla.

Ottimi blogger, capitanati dal fenomeno Beppe Grillo che blogger non è, e tanti convegni, meeting, seminari… fuffa.
Fuffa è un invenzione tutta italiana, come la Vespa e la Moka Bialetti. A volte la fuffa vende di più di un’idea di succeso, a volte si lega a personaggi strani dalla favella facile e dalla slide sempre pronta. Poi da nulla piovono ancora le fantastiche paroline vuote che tanto piacciono ai politici e ai giornalisti: diari on line, videochat, community, virtuale, online, wireless, ecc, ecc.

Ultimamente si aggirano nella business zone personaggi strani che chiedono come si fa a far soldi con tutta ‘sta meraviglia del “webbe duepuntozero”. L’attacco alle aziende è prossimo, ma le aziende non sono pronte. Cariche come sono di web inutili e non aggiornati non sono sicuramente pronte ad un impatto “reale” con gli utenti (che parlano e dicono la loro). Le aziende italiane con i loro utenti (o fornitori) non hanno mai avuto forme di “contatto” serie e mature. Sono ferme agli anni ’50. Se poi pensiamo alle aziende pubbliche, queste sono ferme agli anni ’20.

Perché scrivo questo post così sconclusionato e in odor di polemica? Perché io con queste cose ho iniziato a giocare dieci anni fa e la meraviglia per le cose belle e utili non mi è mai mancata, lo stupore per come invece ci muoviamo maldestramente in Italia, neppure. Sempre a rincorrere, sempre a sbagliare. Sono veramente pochi i casi in cui una nuova tecnologia, un nuovo web hanno dato segno di utilità e maturità. Mentre sto scrivendo non mi viene in mente nulla.
Se penso ai giornali on line, mi vengono i brividi, e penso che leggo solo Repubblica da una vita.
Se penso ai portali delle varie telecom mi viene da ridere. Se penso ai siti web delle agenzie pubblicitarie non solo rabbrividisco, ma mi sganascio da ridere…
Per non parlare poi dei siti web delle Università. Un UFO che si aggira su poveri server solitamente dai nomi strani dati loro da pochi nerd che da sempre non hanno alcuna voglia di condividere le loro capacità con gli altri esseri umani.

Se pensiamo ai cellulari e ai servizi mobile abbiamo fantastiche applicazioni legate a suonerie, sfondi, temi, chat per teenagers, alle quali si aggiungono siti web di news mai aggiornati, oroscopi e tantissime bellissime pagine che non funzionano o che contengono contenuti che distruggono la memoria del cellulare o il credito della povera esangue scheda dell’ignaro utente.

Un quadro desolante? Si. Cioè No.
Si salvano molti blog. Si salvano tantissimi blog. Si salvano molti servizi utili messi in piedi dagli utenti per gli utenti.
E’ un caso? No. La regola è “se una cosa la vuoi fatta bene, fattela da solo”. E se puoi raccontala agli amici.
Il mito del Webbe duepuntozero in Italia è poco più che una chiacchiera, dove chi cita il blogger americano è trattato con venerazione e chi dice che non sa cosa farsene di Delicious (ma come cazzo gli è venuto in mente ‘sto nome) è guardato con profonda disapprovazione.

Ah, mi devo togliere un sassolino (ancora?)… MySpace fa cagare. Punto. E cercare di copiare una roba che è fatta male, ma funziona è da beoti. Una volta capita, mica sempre. Vero cara Dada? Cosa sarebbe Dada Life? Ma per favore!

(articolo da Axellweb.com)

Pubblicato da Andrea T

Andrea Toso

5 risposte su “Chiaccherificio 2.0”

  1. La fuffa nasce già dalla parola “web 2.0”. Ti stai lamentando di vedere fuffa perchè è proprio questa fantomatica tecnologia che è fuffa. E’ un concetto che nasce dalla stessa inutilità di stabilire se la nutella è di destra o di sinistra. Il web 2.0 è semplicemente il web 1.x che prende coscienza che sono passati degli anni, e la diffusione del WWW ha raggiunto numeri che possono considerarsi “masse”. Tutto qua, niente di più. Dietro flickr, google, delicious ci sono aziende che hanno il loro business e lo implementano in questa maniera “nuova” (a parole). Ma nessuno mi ha ancora spiegato qual’è la differenza tra questo fenomeno ed il tempo in cui Tiscali, per citarne una, ti “regalava” la connessione via modem. Circa 7 anni fa, all’epoca della “New Economy”, il mercato proponeva l’universo “gratis”. Intere galassie in omaggio. Oggi invece propone “servizi” gratis, ma questo solo perchè il computer ce l’hai o lo puoi comprare ad un terzo del prezzo di sei anni fa, la connessione ce l’hai ed ha un rapporto prezzo qualità impensabile sei anni fa. E non meraviglia nemmeno l’offerta di qualche operatore che addirittura ti regala un laptop se si stipula un contratto di connettività con loro. Per cui, il marketing dice, io ti do “gratis” tutta una serie di servizi, sui quali io faccio il mio business, ti faccio una tac ed anche una serie di radiografie, e tutti siamo più felici. I più fanatici di questo fenomeno poi, fanno la loro jihad ogni volta in cui il contenuto di un sito web non si adegua a questi nuovi canoni, ogni volta che non ci piace qualcosa, di conseguenza quel qualcosa diviene sterco, concime, pattume.
    Il web 2.0 è un concetto astratto come l’antimateria, tirato fuori da tutta quella gente che ha demonizzato javascript negli anni passati in nome del dogma accessibilità per poi asserire che “ajax è una figata”, quando ajax altro non è che una tecnologia basata su javascript (ed un particoloare oggetto DOM presente in IE 5.5) sicuramente potente e performante. La quale però non poteva continuare ad essere chiamata javascript o dhtml o xml, hanno cambiato il nome, per spingere in avanti qualche loro sega mentale, ma nessuno dice più che ajax, come javascript non è indicizzabile dai search engines, non viene letto da un software per disabili, non è per cui accessibile. Ci hanno rotto gli zebedei per anni interi su questi concetti e poi tornano in pompa magna fischiettando.
    E quindi cosa è cambiato? … fuffa c’era e fuffa rimane se di fuffa si vuol parlare.
    Quello che invece è sicuramente cambiato è la varietà dei contenuti, che siano notizie o opininioni oggi c’è più libertà.
    Ovvero c’è maggiore possibilità di espressione. Freedom la chiamano gli americani. Una sorta di estensione del concetto free delle licenze GPL e derivate. Ma attenti a chiamare queste licenze “sociali” o a tentare di politicizzare questi movimenti. In molti potrebbero avere delle sgradite soprese.

    La libertà di espressione sopracitata è però tanto libera quanto conforme. E non parlo di conformità formale tipo quella della validazione W3C, ma quanto quella di essere tutta uguale nei formati dei contenuti molti dei queli vengono espletati da fantomatici servizi: flickr, technorati, google, youtube.
    In pratica stiamo spalancando la porta a delle gente su una stanza privata delle nostre vite sulla quale avevamo in passato sbarrato la strada a società tipo quella di un certo William H. Gates.
    Gli adepti del Web 2.0 hanno per anni snobbato (più o meno giustamente) Hotmail, per poi indossare le magliette e le divise di Google Mail.
    Ma se è vero che hotmail è il demonio, non ho ancora incontrato un sacerdote che mi spieghi adeguatamente perchè invece gmail dovrebbe essere considerato la colomba dello spirito santo ?
    Ci indignamo giustamente quando un browser lascia sfuggire un proprio bookmark o quando permette l’accesso ad una foto nella nostra cartella documenti. Subito dopo andiamo su delicious e quel bookmark ce lo mettiamo noi, poi su flickr e quella stessa foto la mettiamo online, e non basta. Le tagghiamo, ovvero diamo ulteriori informazioni alle società di marketing, ovvero ulteriore risoluzione alla lastra radiografica del nostro profilo. E così viviamo felici.

  2. In effetti è un’analisi notevole quella di Jason…
    L’immagine?… Su Google ovviamente!

I commenti sono chiusi